Criptovalute che consumano più elettricità di un intero Paese

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Nell'ultimo decennio, le criptovalute hanno rivoluzionato il panorama finanziario globale, offrendo un'alternativa decentralizzata al denaro tradizionale. Tuttavia, dietro la sua ascesa e popolarità, soprattutto nel caso di Bitcoin, si nasconde una sfida importante: il suo enorme consumo di energia. Secondo stime recenti, La rete Bitcoin consuma più elettricità all'anno di molti paesi interi, che ha scatenato un acceso dibattito sulla sua sostenibilità e sul suo impatto ambientale in un mondo che cerca disperatamente di ridurre le emissioni di carbonio.

Bitcoin, la criptovaluta più famosa e preziosa, funziona secondo un meccanismo chiamato "proof of work" (PoW). Questo sistema richiede che i “minatori” risolvano complessi problemi matematici per convalidare le transazioni e aggiungerle alla blockchain. In cambio ricevono una ricompensa sotto forma di bitcoin. Tuttavia, questo processo richiede un'enorme quantità di potenza di calcolo e, quindi, di elettricità. Secondo il Bitcoin Electricity Consumption Index dell'Università di Cambridge, la rete consuma circa 120 terawattora (TWh) all'anno. Per mettere la cosa in prospettiva, questa cifra supera il consumo di elettricità di paesi come l'Argentina (circa 130 TWh) o la Norvegia (124 TWh). Se Bitcoin fosse un Paese, sarebbe tra le 30 nazioni con il più alto fabbisogno energetico del pianeta.

Ma Bitcoin non è l'unico colpevole. Prima del passaggio alla proof-of-stake (PoS) nel 2022, anche Ethereum, la seconda criptovaluta più grande, si basava sul mining, consumando circa 80 TWh all'anno. Sebbene l'aggiornamento abbia ridotto drasticamente il suo impatto energetico a meno di 0.003 TWh all'anno, il caso di Bitcoin rimane emblematico. Anche altre criptovalute basate sulla PoW, sebbene meno rilevanti, contribuiscono a questa tendenza al consumo di massa. Questo fenomeno ha portato a paragoni sconvolgenti: secondo Digiconomist, una singola transazione Bitcoin può consumare la stessa energia di 453,000 transazioni con carta Visa.

Perché questo consumo è così elevato? La risposta sta nella competizione. Con l'aumento del valore di Bitcoin e l'adesione di più minatori alla rete, aumenta anche la difficoltà dei problemi matematici, che richiedono attrezzature più potenti e più energia. Le “fattorie” minerarie, con migliaia di computer in funzione 24 ore su 7, 2021 giorni su 60, sono diventate una realtà comune nei paesi con elettricità a basso costo, come la Cina (prima del divieto del 36), il Kazakistan o l’Iran. Tuttavia, questo modello ha un costo ambientale. Circa il XNUMX% dell'energia utilizzata nel mining di Bitcoin proviene da fonti fossili, come il carbone, che generano milioni di tonnellate di CO₂ all'anno. Alcuni studi stimano che le sue emissioni siano pari a circa XNUMX milioni di tonnellate all'anno, paragonabili a quelle della Nuova Zelanda.

Di fronte alle critiche, i sostenitori del Bitcoin sostengono che il suo consumo debba essere contestualizzato. Rispetto a settori come l'estrazione dell'oro (132 TWh all'anno) o il sistema bancario tradizionale, che si basa anch'esso su data center e uffici, l'impatto di Bitcoin non sembra così sproporzionato. Sottolineano inoltre che i minatori si stanno orientando verso fonti rinnovabili, come l'energia idroelettrica nel Sichuan o l'energia geotermica in Islanda, per ridurre i costi e diminuire la loro impronta di carbonio. Tuttavia, queste iniziative non riescono ancora a compensare la dipendenza globale dai combustibili fossili.

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Il futuro delle criptovalute pone un dilemma. Mentre tecnologie come Ethereum dimostrano che è possibile operare con efficienza energetica, Bitcoin si aggrappa a un modello che, pur garantendo sicurezza e decentralizzazione, sta diventando sempre più insostenibile. La domanda è se questa “corsa all’oro digitale” riuscirà ad adattarsi alle esigenze di un pianeta in crisi climatica o se rimarrà un lusso energetico che pochi possono giustificare. Per ora, il contrasto tra il suo valore economico e il suo costo ambientale continua ad alimentare un dibattito tanto complesso quanto gli algoritmi che lo sostengono.